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Le recensioni del Boss e Djordja
Tournée di Mathieu Amalric

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Dei film visti nelle ultime settimane, tutti belli e interessanti, quello al quale ho assistito ieri sera è senz’altro destinato ad essere il migliore.

Purtroppo conosciuto da noi solo come attore (e che attore!) arriva per la prima volta nelle sale italiane una pellicola diretta da Mathieu Amalric, il suo nuovo film grazie al quale si è aggiudicato la Palma d’oro per la regìa all’ultima rassegna di Cannes.

Un soggetto difficile anche solo da pensare, quello degli spettacoli del “burlesque”, raccontato come una sorta di road-movie.

Si racconta una tournée: gli alberghi, le cene, i viaggi, gli spettacoli di cinque signore americane, due ragazzi (uno è aiutante tuttofare e l’altro che accompagna e addirittura si esibisce) ma soprattutto del loro produttore.

Le donne esuberanti, mature, truccatissime, si spogliano (solo fino a un certo punto) danzano e cantano in giro per la costa francese con la speranza di arrivare anche a Parigi ma questo dipenderà soprattutto dal produttore che dovrà ricucire difficilissimi rapporti per avere la credibilità perduta prima di andare negli States.

Scomoderei nuovamente il mito Cassavetes se non lo avessi già fatto ultimamente per un altro paio di film, ma alcuni interni e i rapporti che si consumano in sguardi, scherzi, offese, schiaffi e baci che sembrano rubati da una cinepresa mai nascosta ma sempre appiccicata ai corpi dei protagonisti non possono non far pensare allo stile anticonvenzionale del grande John....

La vita forzatamente anarchica del nostro produttore Joachim/Amalric diventa la protagonista del film al pari degli spettacoli delle artiste americane.

Lui è un senza famiglia, senza amici, senza casa: un eroe perdente in tutti i sensi, per cui l’unica cosa che gli riesce è riempire i teatri delle città portuali francesi magari con la speranza di ri/aprire qualche rapporto importante.

Magari quello con i due figli: due ragazzini così “stronzetti” che quando il papà li rimette sul treno per Parigi in anticipo lo spettatore è quasi soddisfatto che finisca così male.

Non sempre possiamo pagare prezzi salati sulla nostra pelle e Amalric ha il coraggio di essere scorretto ma sincero, fino in fondo.

Tanto più che ci sarà sempre un nuovo albergo dove portare le sue signore, dove rubare caramelle, dove fumare pacchetti di sigarette qualunque, dove litigare con il portiere che non è autorizzato ad abbassare il volume di una stupida musica di sottofondo.

Joachim/Amalric soffre piange sta male non ha nessuno ma è diventato il nostro eroe.

Per una notte, per sempre. Chissà.

 

Marco Castrichella

 

 
“Sorelle Mai” di Marco Bellocchio

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Da Venezia arriva in sala un lavoro firmato da Marco Bellocchio che raccoglie quasi 10 anni di frammenti girati durante il laboratorio estivo Fare Cinema diretto dalla stesso autore nella sua cittadina d’origine, Bobbio, in Val Trebbia.

Definizione dell’opera impossibile visto quanto si intreccino al suo interno prove di scena, ruoli finti per personaggi veri, le sorelle del regista che fanno da zie al figlio vero e a un’attrice che dovrebbe essere la sorella. Scene da “I pugni in tasca” girato anche questo a Bobbio, primo folgorante esordio di Bellocchio che qui sembrano ricreare il senso documento-familiare del film.

Anche le immagine girate in digitale sembrano riportare ad un documento amatoriale. Gli anni che passano segnati dalla crescita della piccola protagonista del film, Elena, vero fulcro della storia che poi è la figlia vera del regista ma figlia nel film anche della sorella dell’altro figlio Piergiorgio.

Insomma il lato creativo di questo autore sembra non esaurirsi mai.

I suoi film sulla famiglia (condizione /condizionamenti) hanno fatto epoca, il periodo psico-analitico, un approdo al teatro cinematografico, alcuni documentari e interviste (ricordate quelle sul terrorismo?) la dimostrazione costante di essere in grado di “ricreare” il pathos cinematografico anche piazzando una videocamera in un salotto.

Per questo ancora oggi lo considero personalmente, forse insieme a Silvano Agosti, il solo regista italiano che ancora porta alto il verbo cinematografico di Godard e lo spirito della Nuova Onda.

Infine vorrei segnalare due momenti belli e profondi di “Sorelle Mai”: la visione in piazza dell’opera verdiana “Il Trovatore” con la vibrante “di quella pira” e il finale sul fiume con “Vecchio Frac”: Cinema allo stato incontaminato.

 

Marco Castrichella

 
Un gelido inverno di Debra Granik

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Ormai il certificato del Sundance Festival direi che funziona: se un film passa per quella rassegna già vale la pena vederlo, se poi prende qualche premio è da non perdere.

Addirittura questo “Winter’s bone” ha vinto a Torino e non è poco vista la credibilità artistica della rassegna piemontese.

Il timbro dell’opera non si presta certo al “capolavoro” ma vi garantisco che il film fin dalle prime scene tiene alta la testa (con due ragazzini impegnati in giochi poveri, nel posto più povero e dimenticato del Missouri) e non la abbassa più per buona parte dei cento minuti di proiezione.

Alza la testa perché ci si sente subito immersi in un film drammatico ma senza inutili scene a perdere: la ricerca del padre scomparso da parte di Ree, la protagonista appena diciassettenne è più per la sopravvivenza propria, del fratello e sorella più piccoli che per la mancanza della figura paterna. Non c’è psicologia o analisi familiare che tenga. Siamo davanti a una storia maledettamente dura dove la gente che circonda Ree non da nessuna fiducia.

Il motivo del film, senza volermi spingere oltre nella trama, è proprio il cammino di Ree verso il ritrovamento del padre, per dare un futuro a sé e ai piccoli.

I posti del film sono autentici a volte lirici a volte pesanti e truci ma anche qui nessuna forzatura, potremmo pensare ad Olmi o a Malick.

Ma c’è un altro film, ricordate “Frozen river” di Courtney Hunt?... un film poco celebrato, che a me personalmente mi ha dato le stesse sensazioni vuoi perché anche questo era ambientato in un freddo inverno vuoi perché anche qui si parlava di donne alle prese con grossi problemi economici, con famiglia a carico e con la colpevole assenza del “maschio” e poi questa America di provincia perdente, brutta sporca e cattiva come nemmeno Sergio Leone avrebbe potuto immaginare.

Una menzione personalissima, il piacere di aver rivisto seppure in una breve apparizione e piuttosto invecchiata la memorabile Sheryl Lee alias Laura Palmer... e qualcosa di lynchano nel film ci doveva pur essere!

Tanto freddo insomma ma anche tante buone idee per un film che non ti permette neanche di fare una battuta, o di tirare il fiato. Fortuna che uscendo dalla sala di Trastevere ci aspettava la prima sera di non-freddo... due passi a bere un buon bicchiere di nebbiolo da “Ombre rosse” per far decantare vino e film... e che la primavera ci porti altre pellicole come queste.

 

Marco Castrichella

 

 

 

 
Locandine e Manifesti del grande Cinema Italiano

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OMBRE ROSSE
MUSICA-ARTE-CINEMA
Piazza Sant'Egidio 12-13
Trastevere-Roma
Tel. 06/5884155






LOCANDINE E MANIFESTI DEL GRANDE CINEMA ITALIANO
Dal 10 Marzo al 10 Aprile 2011



Esposizione di locandine cinematografiche d'epoca e originali.
Il Grande Cinema Italiano degli anni passati visto attraverso i manifesti, unico elemento esistente al tempo per attrarre i potenziali spettatori.

a cura di "Hollywood" la videoteca specializzata nel Grande Cinema d'Autore dalle origini a oggi.
Via di Monserrato 107 Roma tel. 06/6869197
www.hollywood-video.it



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