L’occasione è arrivata ed è stata colta.
Domenica sera in occasione della rassegna Cannes a Roma sono riuscito a conquistarmi una visione in anteprima della nuova opera di Lars Von Trier grazie anche alla fantastica collaborazione di alcuni amici “ollivudiani” che hanno preso i biglietti al Quattro Fontane, quando ancora io e Barbara eravamo sull’autostrada di ritorno dalla votazione nel nostro seggio umbro.
I 4 Si referendari meritavano un premio oltre quello del quorum e penso che la visione di Melancholia sia stata la degna ciliegina sulla torta.
Sala 1 stracolma inutile dirlo, un sacco di amici, clienti, cine-dipendenti ansiosi e affamati, qualità audio e video della pellicola versione originale perfetta, peccato solo per una “palpabile” assenza dell’aria condizionata.
L’inizio del film manco a dirlo è folgorante, al livello di Antichrist o Dogville.
Sembra che l’introduzione nelle ultime opere di LVT sia ormai diventata una sorta di biglietto da visita: l’abilità tecnica del regista nell’offrirci dei veri e propri quadri in movimento, delle tavole ottenute con effetti fotografici computerizzati ed altri effetti speciali sottolineati da musiche classiche o liriche di grande impatto emotivo è un vero e proprio “manifesto” dell’autore danese.
E anche lo sviluppo del “melodramma” è ormai costante e ricorrente nella filmografia del nostro: uno psicodramma nell’universo personale/familiare che sembra non avere contatti con la società.
Evidente in “Breaking the waves” e “Antichrist” ma presente anche in film come “Europa”, “Idioti”, “Dancer in the dark”, “Dogville” o “Manderlay”.
Mai in tutti questi film che si veda una scena cittadina, urbana, al massimo ci ritroviamo in una piccola comunità, un villaggio “teatrale” di ispirazione brechtiana.
Nel nuovo film addirittura l’azione si svolge in un bellissimo castello e nei suoi giardini isolato dal resto del mondo ma che con il nostro pianeta dovrà condividere un rischio “finale” quello di un probabile impatto con il pianeta “Malinconia” appartenente alla costellazione dello Scorpione.
Le parti che dopo l’introduzione legano il film sono due: le storie delle sorelle Justine (Kirsten Dunst) e Claire (Charlotte Gainsbourg). La prima è l’elemento a rischio, l’insicura, la depressa, malata (?) che si è appena sposata. La seconda è l’elemento al sicuro, integrata, madre di un bambino bello e intelligente, sposata con un uomo ricco, forte (?)
Ebbene se la prima può essere identificata con “Malinconia” l’altra per forza è la “Terra”.
Se la prima con l’avvicinarsi della stella riprende forza ed energia perché la Malinconia sta per “arrivare”, la seconda è in attesa della distruzione: perde colpi, certezze e sprofonda nella angoscia più totale.
Il teorema è narrato così bene da LVT nella prima parte quella del ricevimento di Justine che le sensazioni di malessere lanciate dalla protagonista durante il rituale borghese posticcio ci avvolgono al livello di film come “Il Gattopardo” o del più recente e gemello “Festen”.
I personaggi presenti al ricevimento entrano in scena con battute surreali stile Bunuel e preparano il terreno al “dramma”.
Grazie a LVT anche per la scelta di un cast di primo ordine: Charlotte Rampling, John Hurt, Kiefer Sutherland, Stellan Skarsgard, Udo Kier, ecc.
C’è mancata Penelope Cruz (nei titoli di coda comunque omaggiata dal regista) ma la bravura della Dunst premiata con la Palma d’oro e di una straordinaria Gainsbourg non l’hanno fatta davvero rimpiangere.
Lo so stavolta mi sono dilungato nella trama e ancora rimarrei qui a scriverne fiumi di pensieri e sensazioni su questo film: magari quando e speriamo se uscirà in sala avrò modo di ri-vederlo e proporre un nuovo commento.
Per ora lasciatemi ringraziare ancora Lars che a modo suo, solo suo rievoca in me quella bellissima frase pronunciata da Chance il giardiniere: “La vita è uno stato mentale”.
Marco Castrichella |