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THE MASTER di Paul Thomas Anderson

 

THE MASTER di Paul Thomas Anderson

 

Schermata 01-2456301 alle 17.47.50Arriva nelle sale, dopo essere stato presentato in concorso a Venezia, il nuovo film di Paul Thomas Anderson. La giuria presieduta da Michael Mann lo ha premiato con il Leone d’Argento per la miglior regia e con la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile a entrambi gli attori Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman, autentici mattatori del film. Premetto doverosamente ai lettori che il mio commento potrebbe contenere ‘spoiler’, dovrò infatti per forza maggiore parlare della storia e del finale del film.

Appendice alla premessa: il film è un capolavoro. E da questo partiamo.

Il giovane regista californiano Paul Thomas Anderson sta centellinando le sue opere se si calcola che dal suo penultimo film ovvero “There will be blood” (in Italia uscito come “Il Petroliere”) sono passati già cinque anni. P.T.A. può essere assimilato a un novello Orson Welles per diversi motivi, primo fra tutti la necessità di firmare opere complesse per messa i n scena, apparato storico-scenografico e soprattutto per contenuti storici, politici e sociali. Obiettivo sempre puntato su Hollywood e sulla West Coast come simbolo della cultura americana del miraggio, vedi anche i più ‘leggeri’ “Boogie nights” (1997) e “Punch drunk love” (2002). Ma la maestosità del cinema di PTA è tutta nella sua trilogia apocalittica sulla società americana iniziata con “Magnolia” nel 1999 proseguita con “There will be blood” del 2007 e chiusa, momentaneamente, con “The Master” appunto del 2012. Se “Magnolia” si riconosce per la sua struttura circolare, in stile Altman, dove le storie dei vari personaggi scorrono autonomamente per trovare solo nell’epilogo biblico un centro focale, in “There will be blood” e “The Master” la Storia americana del singolo entra prepotente sotto la luce di PTA. Nel suo ultimo lavoro, con lo stesso fulgore e il piglio di un redivivo Welles, il regista californiano mette in scena un’opera esteticamente grandiosa, girata in 70 millimetri, con una attenzione per i costumi, per i colori e per la fotografia da brividi, il tutto sottolineato come per “There will beblood” dalle musiche di Jonny Greenwood dei Radiohead. Tutto questo senza una caduta di tono e senza mai un eccesso di auto-compiacimento, tutto risulta visivamente funzionale nel suo film, nulla è urlato o sottolineato. Ma non è tutto. Il lavoro di PTA è ancora più grande per i contenuti , per i profondi squarci che apre nel monumento alla Democrazia, alla Cultura e alla Conoscenza che è la grande madre America. Quella dei potenti e dei derelitti. Dei leader e della moltitudine anonima. Dei fortunati che ‘si fanno da se e degli sfortunati che fuggono eternamente. 

Schermata 01-2456301 alle 17.48.58The Master - Il preludio -

Ci saranno persone all'esterno che non capiranno la vostra malattia. Ora sulle vostre spalle poggia la responsabilità del mondo del dopoguerra.”

La prima parte del film è sulla fuga verso il ‘Master’ da parte del protagonista Freddie Sutton interpretato dallo straordinario Joaquin Phoenix dimagrito, ringiovanito, fisicamente perfetto. Freddie è un militare della marina americana ancora impegnata nel Pacifico dove la seconda guerra mondiale volge al termine. Come molti altri si sta apprestando a rientrare nella società con un carico di angosce che gli strizzacervelli dell’esercito ovviamente non trovano troppo preoccupanti. L’aver lasciato casa e una ragazza innamorata di soli 16 anni ha inevitabilmente alterato la psiche e il fisico di Freddie. La ricerca di una donna e di un amplesso nella scena iniziale sulla spiaggia sono raccontate da PTA con una sequenza memorabile e che inevitabilmente tornerà per Freddie nel finale con la stessa donna di sabbia, come nel finale di ‘Once upon a time in America’ di Leoniana memoria. Scattano come molle le reazioni psicotiche di Freddie verso una società americana che si sta via via modellando con i miti della famiglia borghese, dei bei vestiti, dei grandi magazzini, delle riviste e delle foto patinate. La sua fuga metaforica e reale da tutto questo approderà casualmente su una barca dove un’altra persona in cerca di qualcosa e di qualcuno sembra stia ad aspettarlo.

 

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The Master - L’incontro -

“…ma soprattutto sono un uomo. Come te.”

L’entrata in scena dell’altro mattatore del film, un mostruoso Philip Seymour Hoffman, è da antologia. Hoffman veste i panni del personaggio di Lancaster Dodd, un ‘Master’ senza scrupoli che ha fatto dei suoi adepti la propria famiglia o il contrario. L’incontro fra i due nella stanza dello yacht è un corto circuito: il ‘Master’ è affascinato dal suo avventore e questi finalmente sembra aver trovato qualcuno che lo capisce. I due si rapiscono uno con l’altro nel corso di una sorta di seduta analitica. La scena grazie alla serrata sceneggiatura e alla volontà di PTA ha la forza di alzare totalmente tutto il piano di lettura del film. Perderà molto chi fra gli spettatori rimarrà a vedere il resto del film come la cronaca di una setta o di due persone qualsiasi della società americana degli anni cinquanta. Il meccanismo che da questo momento si instaura (e più volte verrà rovesciato durante il film) fra i due personaggi è quello radicato nella società americana. E’ il teorema dell’amore che può spesso diventare pericoloso più dell’odio, è quello della forma di dipendenza fra maestro e allievo, uno non può vivere senza l’altro, uno non può esistere senza l’altro.

 

Schermata 01-2456301 alle 17.47.17The Master - La soluzione ovvero ‘Qualcuno volò sul nido del Master’

"Se trovi il modo per vivere senza un padrone, faccelo sapere"

E’ in questa frase pronunciata da Lancaster Dodd il possibile teorema del film. Può un uomo assetato di potere (un Joh Fredersen, un Charles Forster Kane, un Petroliere, un Master qualsiasi) vivere senza gente che non ha bisogno di padroni? E’ in grado di manovrare solo gente sopita o anche menti schizzate e perciò non ben-pensanti? Le lacrime dei due protagonisti nel loro rincontro del pre-finale segnano la terza scena madre del film di PTA. Il corto circuito si genera nuovamente ma ormai Freddie è pronto, quello che ha sempre sentito fin dal primo incontro ora è in grado di capirlo sa che Lancaster Dodd è solo l’altra faccia della propria vita. Sa che ha perso il suo tempo dietro a un mito di cartapesta, lascerà il suo falso riferimento per andare sulla propria strada, non sarà in discesa ma sarà la sua strada.

E’ dunque la doppia faccia dell’America la vera protagonista del film. Questa America che veniva raccontata fin dai tempi di Von Stroheim e di King Vidor, che venne poi rivista e corretta da Orson Welles soprattutto con la sua opera prima, il già citato “Citizen Kane’, film di una forza fuori dal comune per quei tempi sia per soggetto, sia per la sua struttura narrativa, di scrittura e di ripresa. Da quel film molto cambiò, Orson Welles seppure da più parti riconosciuto come autore geniale non ebbe vita facile a Hollywood e il pubblico non era così coinvolto dai suoi film come accade spesso per i grandissimi. Ovviamente non possiamo nemmeno dire che dopo Welles nessun altro regista americano abbia toccato e tentato di toccare vette così alte. Basti pensare al già citato Robert Altman, forse il più grande narratore della cultura americana dagli anni sessanta in poi. Ecco però che finalmente oggi abbiamo un regista di appena 43 anni giunto al suo sesto film (pensate che ne aveva appena 26 al suo esordio con ‘Sydney’) che realizza un capolavoro dopo l’altro.

Marco Castrichella 08/01/2013

 

 

 

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